LA PICCOLA LEONESSA
Aurora è la mia piccola principessa guerriera. Il suo animale preferito è il leone e penso che non sia un caso, sin dalla nascita ha lottato come una leonessa…
Aurora è nata il 25 ottobre 2013. La gravidanza sembrava andare bene. Mi ricordo bene il momento in cui abbiamo scoperto che avremmo avuto un’altra femmina dando una sorella alla piccola Beatrice, che all’epoca aveva tre anni. Era un sabato mattina di sole, avevo il controllo del quinto mese e avevo voluto che venisse anche Bea. Il medico si è rivolto a lei dicendole “avrai una sorellina”, eravamo tutti molto felici e iniziavamo a immaginare la nostra vita a quattro. Invece le cose non sono andate proprio come immaginavamo…
A partire del settimo mese ho iniziato ad avere una pancia enorme dovuta a un’eccessiva quantità di liquido di cui non si capiva la causa. Questa cosa ha portato a continui dolori e contrazioni con un conseguente parto pretermine a trentacinque settimane. Il parto è andato bene, senza particolari problemi. Appena nata Aurora è stata immediatamente portata via senza che potessi vederla ma pensavo fosse perché nata prima del dovuto e quindi richiedesse di essere controllata.
Abbiamo potuto vederla per la prima volta dopo alcune ore in terapia intensiva neonatale, dove era stata portata. Quello che abbiamo visto non è proprio quello che potevamo immaginare. Un esserino molto piccolo, in una culla trasparente, con tanti fili attaccati, un monitor attaccato e un tubo per respirare. Non augurerei a nessuno di vedere così il proprio figlio per la prima volta. Il medico ci ha spiegato che la bambina era nata con atresia delle coane, una malformazione a livello delle coane, la parte interna delle narici, che erano chiuse quindi la bambina non poteva respirare perché i bambini appena nati non sono in grado di respirare con la bocca e questo aveva reso necessaria un’intubazione dalla bocca.
Da quel momento ci siamo ritrovati catapultati in un mondo a noi sconosciuto fatto di bambini in miniatura che combattono per sopravvivere, monitor che suonano all’impazzata al punto che quel suono ti entra profondamente in testa da avere la sensazione di sentirlo sempre, camici verdi e odore di disinfettante per le mani che doveva essere sempre messo per evitare di trasmettere qualsiasi cosa a questi esserini cosi indifesi. Anche oggi sentire quell’odore mi fa star male e riaffiorare ricordi di un periodo che mai si cancellerà dalla mia mente. Ogni giorno andavo a trovare la piccola in quella che era la sua casa forzata. Ho potuto prenderla in braccio per la prima volta dopo diciotto giorni ed è stata una cosa stranissima. Io avevo già l’esperienza con Beatrice ma qui si trattava di tenere un esserino indifeso e un’enorme paura di farle male al minimo movimento sbagliato ma anche di proteggerla da questo mondo in cui si era ritrovata con tutte le sue difficoltà. Ogni sera poi tornavo a casa da Bea e questa cosa mi ha aiutato molto a non abbattermi, io dovevo esserci per questa bambina di quattro anni che aveva bisogno della sua mamma e non di una persona che piange e si dispera. Devo dire che Bea mi ha aiutato ad avere la forza di affrontare tutto quello che stava accadendo e sovrastare la disperazione per una situazione tanto difficile e tanto inaspettata.
Sono stati mesi veramente difficili e pesanti. Inizialmente ci hanno parlato di atresia delle coane per cui si è deciso di intervenire chirurgicamente per “aprire i buchi nel naso” e permetterle di respirare autonomamente. A quindici giorni di vita Aurora ha affrontato il suo primo intervento e noi con la disperazione nel cuore ad attendere. L’intervento è andato bene e hanno inserito dei tubicini per tenere i buchini aperti e deciso di eseguire un secondo intervento dopo quindici giorni per allargarli un po’. Il chirurgo ci ha informato che avrebbe dovuto tenere i tubicini per tre mesi per evitare che i buchi si richiudessero e ricordo che ci era sembrata un’eternità… così sono iniziati questi mesi difficili e un periodo per noi molto buio. Andavo a trovarla tutti i giorni di pomeriggio perché la mattina non era possibile per regole dell’ospedale e il papà mi raggiungeva la sera. Nel primo periodo i medici si sono rivolti a noi varie volte e ci hanno informato di altre malformazioni che erano state riscontrate al punto che ogni volta che un medico si avvicinava, temevamo fosse stato trovato ancora qualcosa. E così ci hanno informato di aver trovato una malformazione agli occhi chiamata coloboma, in pratica una parte di retina non si era sviluppata in entrambi gli occhi e in particolare nell’occhio sinistro era stato colpito anche il nervo ottico, difetto talmente grosso che non sapevano se avrebbe visto dall’occhio sinistro. Non è stata una cosa facile da digerire ma ci siamo detti “meglio con uno che con nessuno”. Quando ti ritrovi a dover vivere certe situazioni cambia la prospettiva con cui guardi il mondo e impari a vedere il bicchiere mezzo pieno. Poi ci hanno informato di una malformazione al cuore in cui il dotto di Botallo, un buchino presente prima della nascita che si chiude quando il bambino nasce e respira, non si era chiuso. Durante quei mesi si è ingrossato creandole molte difficoltà respiratorie. A questo si aggiungevano altri due difetti minori. Aurora aveva continui problemi respiratori che rendevano impossibile toglierle il tubo per respirare, catarro in elevate quantità e reflusso per cui la bambina spesso vomitava (si alimentava con un sondino naso-gastrico).
Quindi hanno iniziato a dire che pensavano che tutte queste malformazioni non fossero scollegate e volevano procedere con indagini genetiche su di noi e la bambina. Alla domanda però su quale fosse il sospetto, rimanevano vaghi. Io però volevo capire quindi ho fatto ricerche su internet basandomi sui sintomi riscontrati ed è così che ho trovato questa parola CHARGE, esattamente Sindrome CHARGE. Leggendo i vari sintomi ho scoperto che quelli riscontrati corrispondevano. Si parlava anche di sordità o difetti alle orecchie ma non ricordavo fosse stata menzionata quindi avevo ancora una piccola speranza di essermi sbagliata. Siamo andati in ospedale e abbiamo chiesto se erano stati eseguiti i test uditivi che di solito sono fatti ai bambini appena nati e la risposta è stata che il risultato era patologico quindi che erano andati male. A quel punto i timori erano sempre più vivi, un sintomo in più verso quello che temevamo. I medici parlavano nuovamente di test genetico senza entrare nello specifico. A questo punto ho fatto la domanda diretta se quello che sospettavano era che avesse la Sindrome CHARGE e non hanno potuto negare. Questa conferma è stata come un fulmine sulle nostre teste, uno shock terribile seguito da disperazione e pianti. E mi chiedevo “perché a me”, “cosa ho fatto di male”.
Quando nasce un figlio, si vorrebbe che fosse sano e invece non era così. In seguito sono stati eseguiti i test e il risultato è arrivato dopo tre mesi quando ormai lo shock iniziale era passato e ci stavamo concentrando su di lei e tener duro per lei. Aurora soffriva molto, prendeva infezioni, aveva grosse difficoltà respiratorie e non riuscivano a capire perché ogni volta che provavano a toglierle il tubo, aveva crisi respiratorie ed erano costretti a rimetterlo. Ma questo non le impediva di sorriderci quando eravamo con lei ed è proprio questo che ci ha dato la forza di lottare per lei. In quel periodo la salutavamo la sera senza sapere se l’avremmo rivista il giorno dopo e di mattino ogni volta che mi suonava il telefono, era panico.
Ricorderò sempre un episodio accaduto la sera della vigilia di Natale. Dovevano eseguire un esame e avevano deciso un nuovo tentativo di estubarla. Ero lì mentre respirava a fatica e sudava finché a un certo punto i battiti e la saturazione dell’ossigeno sono scesi improvvisamente quindi sono stata fatta uscire e sentivo rumore di corse e manovre disperate. La situazione è stata risolta rintubandola nuovamente ma mi ha lasciata segnata quasi come se il cuore mi si fosse fermato. C’è un’enorme differenza tra il sentir parlare di crisi respiratorie o arresti cardio-circolatori e assistere a uno. Da allora niente mi stupiva più quasi come se ormai avevo visto tutto. Passò ancora del tempo e i medici ci informarono di voler provare a chiudere il Dotto chirurgicamente nella speranza potesse migliorare la situazione respiratoria, ma non li vedevamo ottimisti su un’eventuale risoluzione dei suoi problemi respiratori.
Invece dopo l’intervento, la situazione è cambiata, respirava bene senza tubo, i medici avevano cambiato completamente atteggiamento ed erano ottimisti. E da lì le cose hanno iniziato ad andare meglio, la bambina sembrava stare meglio, i farmaci sono stati ridotti ed è stata trasferita in terapia sub intensiva, dove il clima era notevolmente più disteso. Non erano più bambini in pericolo di vita ma in fase di ripresa verso l’uscita. Così per la prima volta abbiamo sentito quella parola tanto attesa, dimissione. La bambina presentava un grosso reflusso, cresceva pochissimo, non aveva mai mangiato per bocca e presentava problemi di deglutizione che avrebbero potuto dare grossi problemi nell’alimentazione, ma non si fidavano a mandarla a casa col sondino naso-gastrico quindi ci hanno proposto una peg, un tubo inserito chirurgicamente direttamente nello stomaco che avrebbe permesso di alimentarla con meno rischi. Sinceramente non so se fosse realmente necessaria, ma dopo più di sei mesi non ne potevamo più di quella vita tra ospedale e casa e abbiamo accettato.
Dopo sette mesi e mezzo l’11 giugno 2014 Aurora è stata dimessa e iniziava finalmente la nostra vera vita con lei, come se fosse nata in quel momento. Beatrice l’aveva vista una volta attraverso il vetro grazie a degli infermieri fantastici che avevano concesso uno strappo alla regola per permetterle di vederla almeno una volta. Il loro primo incontro è stato emozionante, si è avvicinata lentamente e visibilmente emozionata, aveva quasi paura a toccarla ma è stato amore a prima vista. Aurora è stata dimessa con materiale medico, aspiratore per l’enorme catarro, saturimetro per controllare battiti e respiro, ossigeno, pompa e accessori per peg. Eravamo un po’ in panico all’inizio ma pronti a tutto per lei. All’inizio è stato difficile, tante notti insonni con quel suono del saturimetro che ti entra in testa ma meglio non dormire che saperla in ospedale lontana da noi. Noi abbiamo pian piano imparato a conoscerla e lo stesso ha fatto lei con noi. La cosa che più ci dispiaceva è che non potevamo prenderla in braccio, ogni volta che ci provavamo, piangeva e si calmava solo se la mettevamo giù. Era stata abituata a essere tirata su solo per motivi medici e probabilmente temeva le facessimo del male, ma questo non ci ha fermato e abbiamo continuato a farlo. Al primo grande ricovero ne sono seguiti altri purtroppo a causa delle sue condizioni cagionevoli ma più brevi. Subito dopo la dimissione abbiamo messo ad Aurora delle protesi acustiche per permetterle di sentire il mondo che la circondava. Sono sicura che qualcosa stesse funzionando. Appena messe ha fatto una faccia strana, uscite in strada ha iniziato a piangere per le macchine che passavano e per dei suoni mai sentiti prima. Noi le parlavamo sempre non sapendo cosa effettivamente sentisse ma abbiamo imparato nei primi mesi che nessuna cosa è inutile, anche se lo sembra. Da subito ha iniziato con la fisioterapia. Aveva una grossa ipotonia estesa a tutto il corpo, non teneva la testa, muscolatura molle.
Avere una bambina come Aurora non è facile, nessuno può capire quello che vivi tutti i giorni se non vive la stessa cosa. In questo mi ritengo fortunata perché ho avuto la fortuna di trovare un gruppo Facebook composto da genitori di bambini e ragazzi con la CHARGE, persone straordinarie che hanno saputo darmi parole di conforto al momento giusto, consigli quando ne avevo bisogno, capivano cosa provavo e con alcuni di loro si è instaurato un rapporto di amicizia speciale. La prima cosa che mi hanno consigliato è stata di rivolgermi alla Lega Del Filo D’Oro descrivendola come “il paradiso dei Charge”. Così ho fatto e Aurora è stata messa in lista d’attesa per un trattamento riabilitativo intensivo nella loro sede a Osimo (An). Siamo andati là la prima volta che Aurora aveva quattordici mesi, non teneva ancora la testa, non stava a pancia in giù e non toccava nulla. Siamo venuti via dopo tre settimane che iniziava a stare semi seduta. Mi hanno spiegato tante cose, in cosa effettivamente consisteva il suo difetto visivo rassicurandomi che vedeva da entrambi gli occhi, consigliato di metterle gli occhiali perché aveva una forte miopia che non le permetteva di vedere oltre i 60 cm e bisognava aiutarla perché si era mostrata molto curiosa del mondo che la circondava. Inoltre mi hanno fatto capire che in Aurora c’era un grande potenziale, bisognava solo aiutarla a tirarlo fuori. Così appena tornati, le abbiamo messo gli occhiali ed effettivamente ha iniziato a guardarsi in giro. Abbiamo iniziato a fare ricerche per trovare dei buoni specialisti e terapisti che la seguissero nel modo migliore per le varie problematiche.
Ora Aurora ha quattro anni, ha appena iniziato a camminare, parla ancora non benissimo per le varie difficoltà ma si fa capire, ha tolto la peg, mangia cibi frullato e sta imparando a mangiare il semisolido, frequenta la scuola dell’infanzia con un’educatrice e dei compagni che la adorano e da cui non si staccherebbe mai, sua sorella Beatrice la adora e la cosa è reciproca. E’ una bambina dolce e gran furbetta, sorride sempre, sa farsi volere bene da tutti, dà tanti baci e le piace farsi coccolare. La nostra vita con Aurora non è facile, non ci sono mai due giorni uguali e gli imprevisti sono all’ordine del giorno ma Aurora ci ha insegnato che nella vita non si può mai dar nulla per scontato, bisogna gioire di ogni minima cosa come noi facciamo con ogni suo successo seppur minimo e non dobbiamo mai smettere di credere in lei. La vita per lei non è facile, ogni cosa le costa una gran fatica, persino vivere e respirare per lei è stata una fatica ma non si è mai arresa come una leonessa e non smette mai di sorridere, con quel sorriso storto che tanto adoriamo.
Antonella la mamma di Aurora
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